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Revision as of 12:34, 11 June 2019


title Innaturale Digitale
author Ugo Malatacca/Tatiana Bazzichelli
publication Il Mucchio
date 2002/06
issue 491
pages 12-14



Original Text

Innaturale Digitale was an interview (in Italian) by Ugo Malatacca/Tatiana Bazzichelli originally published June 2002 in Il Mucchio magazine Number 491 pp. 12-14.

This is an original text copied verbatim from the original source. Do not edit this text to correct errors or misspellings. Aside from added wikilinks, this text is exactly as it originally appeared.


Innaturale Digitale

Per anni, la musica elettronica è stata associata alla fantascienza, alla tecnologia, al fu­turo, al virtuale, alla perfezione, all'alta fedeltà, al mondo dei computer e dei robot. Il mondo è cambiato. Organicità, natura, nostalgia, imperfezione ed emozioni a bassa fe­deltà sono invece i tratti somatici di un "altro" cmodo di sentire il digitale. Le macchine di­ ventano uno strumento come un altro per tracciare percorsi che esplorano il sogno, la vi­sione, il mondo che è (ed era) intorno. E creare paradossi naturali


Boards Of Canada


Due ragazzi per metà scozzesi e per metà canadesi, chiusi in uno studio fatto di pareti di vetro e immerso nella campagna, regi­ strano i loro synth su nastro per poi danneggiarlo. Ci miscelano frammenti polverosi di strumenti in carne e ossa ed effetti sonori dai documentari televisivi sulla natura. Si chiamano Boards Of Ca­nada e hanno 8 e 14 anni ... almeno, cosi loro dicono. Della fama o del successo non vogliono neanche sentir parlare, agli articoli o alle recensioni dei loro dischi sono totalmente disinteressati. I Boards Of Canada sono comunque un forte punto di riferimen­ to per la nuova scena elettronica che si è costruita dopo l'era dei rave. Il loro primo album, Music Has The Right To Children (1998) è un classico. Geogaddy (n. 476) , il nuovo lavoro pubblicato da Warp, ha tutte le carte in regola per diventarlo.


Umano tecnologico

Nella copertina di Music Has The Right To Children un gruppo fami­liare in gita, sul ciglio di un belvedere, si taceva ritrarre in una foto ri­cordo . Abbigliamento e look anni '70, immagine sfocata e impolverata. Un particolare: i volti sono tutti vuoti, non hanno lineamenti, nè dettagli. Sono in bianco. Non servono altre parole per trovare il link con i pezzi deÌl'album, musica che cerca continuamente una verosimiglianza con il naturale e con l'organicità; ma nasconde consape­ volmente, ad ogni angolo, uno stretto legame con l'artificio digitale. Music Has The Right To Children rimane, a distanza di anni, una chia­ve di svolta della scena elettronica che, dopo l'illusione del "futuro"; ha perso fiducia per le potenzialità infinite della tecnologia e si avvicina a una umanizzazione dei suoni e della narrazione. Come?
La maggior parte dei suoni che usiamo sono campioni che abbiamo creato noi stessi. A volte inseriamo del materiale preso altrove nelle nostre composizioni, ma per lo più tutti i suoni con cui costruiamo le melodie sono fatti con strumenti reali o sintetizzatori che noi suoniamo nel nostro campionatore e poi processiarno. Spesso campioniamo noi stessi mentre suoniamo la chitarra, la batteria, il flauto o altri strumenti, quindi ne distruggiamo il suono attraverso il campio­natore, oppure attraverso registrazioni su nastro analogico. In que­sto modo, il suono risulta antico e danneggiato e irriconoscibile dal­ lo strumento originale.
È Mike Sandison , uno dei due Boards Of Canada, a spiegarci nel dettaglio come è possibile mettere la tecno­logia su un piano completamente differente. E il socio Marcus Eoin continua:
Per quello che possiamo, creiamo i campionamenti da so­li. La gente pensa che ci limitiamo a prendere suoni dalle colonne so­nore dei documentari televisivi e da questo genere di cose. Ma sa­ rebbe troppo facile. Noi siamo pesantemente influenzati da suoni del genere ma ci limitiamo a emularli. Suoniamo tutto noi e distruggia­mo quello che facciamo attraverso strumenti analogici, aggiungendo effetti che evochino il suono delle vecchie cassette registrate trent'anni fa. Non ci piace il suono pulito, perfetto. Nella musica elet­tronica è troppo facile far si che le cose suonino pulite, moderne e perfettamente intonate. Per cui noi ce la mettiamo tutta per fare in modo che il suono sia grezzo, per aggiungergli carattere, perché cosi gli diamo un senso di tempo e di spazio.


Verso il passato


Ritorno al passato, ai momenti della propria vita che la gran parte di noi vede (sia nel bene che ne male) come un momento felice, pie­no di speranze per il futuro, certezze e semplicità misteriosa delle cose. L'infanzia è uno degli ambienti spazio/temporali (per dirla al­la Marcus) che i Boards Of Canada preferiscono. Si tratta di una vi­sione che parla contemporaneamente del "fanciullino" capace di meravigliarsi di fronte alle scoperte di tutto ciò che lo circonda, ma anche del fascino per l'ignoto che genera incertezza, paura, perdita di coscienza. È la stessa contraddizione del canto di un bambino: può essere la melodia più soave, ma anche il suono più tetro e an­gosciante che si possa ascoltare.
Sentiamo musica fin da quando eravamo bambini, anche attraverso la tv, per cui molto spesso da quello che facciamo adesso emerge un gusto ti­pico della tv e della cultura pop della metà degli anni '70. È sempre stata una caratteristica dei Boards Of Canada fare riferimento allo stile degli anni '70 e '80 perché è una fonte infinita di ispi­razione per noi. In quegli anni ci siamo entrambi spostati di posto in posto. Questo vuol dire che ci siamo inzuppati di molte musiche differenti e di materiale visivo a cui facciamo ancora riferimento


Psichedelica naturale


Per i due Boards Of Canada, che fin da piccoli hanno giocato con la musica, l'evocazione del passato combacia con uno sguardo incantato e impaurito sulle cose. In Geo­gaddy tutto ciò si fa immagine ca­leidoscopica. Del resto, quella del caleidoscopio (da cui le immagini di copertina e i recenti gadget) è una metafora perfetta per sfiora re alcuni dei significati della loro musica. Il caleidoscopio trasforma ciò che vediamo in qualcosa di meraviglioso, infinito, indistingui­bile, perpetuo. Allo stesso tempo il mondo visto da un caleidoscopio si trasforma, diventa irrico­ noscibile, assume nuove relazioni, dà vertigine, smarrimento. E soprattutto svela analogie im­previste tra le cose. È questo il gioco delle im­magini che si affettano, spezzano, distruggono, ma continuano a rimanere insieme strette da un forte legame geometrico. Non a caso uno dei pezzi di Geogaddy ha il titolo di Music ls Math e un altro The Devii /s In The Details. A tal pro­posito:
The Devil ls In The Details ha un doppio significato. Da una parte ci sono molte influenze scure che scorrono sotto la musica, dall'altra si tratta di un'affermazione ironica, un po' per dire che più ti fai ossessionare dalla ricerca dei detta­gli nella musica e più realmente perdi la musica stessa ...non si può vedere il legno e non gli alberi.
Le venature scure della musica a cui si riferisce Mike sono quella continua ambiguità di suoni, spesso apparentemente soavi ma pieni di sfaccettature.


Il video


Le colonne sonore consu­mate e la qualità grezza dei film in 16mm. Queste cose mi ricordano periodi in cui la tv e il cinema sembravano essere ossessionati dalla scienza e dalla fiction scientifica, un po' un'influenza scura che ha generato paranoie e paure sotterranee, come nella guerra fredda. Penso addirittura nei documentari educativi.
Il nome Boards Of Canada viene da una serie di documentari sulla natura degli anni '70 appun­to nominati The National Boards Of Canada. Questo tipo di documentari metto­no in scena una natura in continua mutazione, che affascina, ma che in fondo fa sempre paura, perché è più grande di noi, perché sappiamo di appartenerle anche nei suoi cicli di evoluzione. In più, la visione del­la realtà attraverso il tubo catodico si arricchisce di ulteriori paranoie (avete mai visto, in proposito, le opere di Cristiano Pintaldi?).
Il pixel dei video, quelli televisivi che filtrano le immagini, ha lo stesso effetto di certi tipi di grana sulla pellicola di un film, dà alle immagi­ni un vissuto in cui vivere e imma­ginare ... Noi stessi non abbiamo un live come band ma un live pre­valentemente visual, in cui proiet­tiamo i nostri video con la musica. Questo dà un'altra dimensione al nostro pro­getto. E ogni volta lo facciamo in modo diverso, per mantenerlo sempre sorprendente.



Translated text

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Scans

References